Bollettino Sala Stampa della Santa Sede
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Bollettino Sala Stampa della Santa Sedeit Celebrazione Eucaristica nel settimo giorno dei Novendiali
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Alla Celebrazione sono state invitate in particolare le Chiese Orientali.
La Concelebrazione è stata presieduta dallâEm.mo Cardinale Claudio Gugerotti, già Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali.
Pubblichiamo di seguito lâomelia che lâEm.mo Card. Claudio Gugerotti ha pronunciato nel corso della Santa Messa:
Omelia dellâEm.mo Card. Claudio Gugerotti
Beatitudini, venerati Padri Cardinali, fratelli e sorelle,
Intorno a noi non facciamo altro che percepire il grido della creazione e in essa quello di chi è destinato alla gloria ed è la finalità per la quale la creazione è stata voluta: la persona umana. Grida la terra ma soprattutto grida una umanità travolta dallâodio, a sua volta frutto di una profonda svalutazione del valore della vita che, come abbiamo sentito, per noi cristiani è partecipazione alla famiglia di Dio, fino alla concorporeità e consanguineità con il Cristo Signore, che stiamo celebrando in questo sacramento dellâEucaristia.
Molto spesso questa umanità disperata fatica a esprimere nel grido la sua preghiera e invocazione al Dio della vita. Ed è allora, ci ricorda San Paolo, che lo spirito interviene dentro di noi e rende i nostri silenzi rocciosi e le nostre lacrime inespresse unâinvocazione al nostro Dio con gemiti inesprimibili o, come pure si può tradurre, con gemiti inespressi, cioè silenziosi. à questa unâespressione tanto cara al mondo cristiano orientale che vede nella incapacità di esprimere Dio (apofasi) una delle caratteristiche della teologia: contemplazione dellâincomprensibile, vano tentativo di togliere il velo alla verità somma e quindi, al massimo, possibilità di dire, come ripeterà in occidente San Tommaso dâAquino, non ciò che Dio è, ma ciò che Egli non è.
Chi ama la sua vita la perderà - ci ricorda il Vangelo secondo Giovanni - e chi odia la propria vita la troverà . In questa frase così estrema il Signore esprime la nostra specificità di cristiani, considerati dal mondo seguaci di un perdente, di uno sconfitto della vita, che attraverso la morte, e non attraverso lâedificazione di un regno terreno, ha salvato il mondo e redento ciascuno di noi.
Papa Francesco ci ha insegnato a raccogliere il grido della vita violata, ad assumerlo e presentarlo al Padre, ma anche ad operare per alleviare concretamente il dolore che suscita questo grido, a qualsiasi latitudine e negli infiniti modi con cui il male ci indebolisce e ci distrugge.
Oggi la liturgia viene animata e partecipata da alcuni dei Padri e dai figli e dalle figlie delle Chiese Orientali cattoliche, presenti insieme con noi per testimoniare la ricchezza della loro esperienza di fede e il grido della loro sofferenza, offerta per il riposo eterno del defunto Pontefice.
Ad essi noi diciamo grazie per aver accettato di arricchire la cattolicità della Chiesa con la varietà delle loro esperienze, delle loro culture, ma soprattutto della loro ricchissima spiritualità . Figli degli inizi del cristianesimo, essi hanno portato nel cuore, insieme con i fratelli e le sorelle ortodossi, il sapore della terra del Signore, e alcuni addirittura continuano a parlare la lingua che Gesù Cristo parlò.
Attraverso gli sviluppi prodigiosi e dolorosi della loro storia, essi raggiunsero dimensioni importanti ed arricchirono il tesoro della teologia cristiana con un apporto tanto originale quanto, in buona parte, da noi occidentali sconosciuto.
Nel passato gli Orientali cattolici hanno accettato di aderire alla piena comunione con il successore dellâapostolo Pietro il cui corpo riposa in questa Basilica. Ed è nel nome di questa unione che hanno testimoniato, spesso col sangue o la persecuzione, la loro fede. In parte ora ridotti, di numero e di forze ma non di fede, proprio dalle guerre e dallâintolleranza, questi nostri fratelli e sorelle rimangono saldamente aggrappati a un senso della cattolicità che non esclude, ma anzi implica, il riconoscimento della loro specificità .
Nello scorrere della storia essi furono a volte poco capiti da noi occidentali, che, in alcune epoche, li giudicammo e decidemmo che cosa di quanto essi, discendenti di apostoli e di martiri, credevano era o non era fedele alla teologia autentica (cioè la nostra), mentre i loro fratelli ortodossi, consanguinei e partecipi della stessa cultura, liturgia e modo di sentire lâessere e lâoperare di Dio, li consideravano fuggiti di casa, perduti alla propria origine e assimilati a un mondo allora ritenuto reciprocamente incompatibile.
Papa Francesco, che ci ha insegnato ad amare la diversità e la ricchezza dellâespressione di tutto ciò che è umano, oggi credo esulti al vederci insieme per la preghiera per lui e per lâintercessione di lui. E noi ancora una volta ci impegniamo, mentre molti di loro sono costretti a lasciare le loro antiche terre, che furono Terra Santa, per salvare la vita e vedere un mondo migliore, a sensibilizzarci, come aveva voluto il nostro Papa, per accoglierli e aiutarli nelle nostre terre a conservare la specificità del loro apporto cristiano, che è parte integrante del nostro essere Chiesa cattolica.
Agli occhi e al cuore dei nostri fratelli e sorelle dâOriente è sempre stato caro custodire lâincredibile paradosso dellâevento cristiano: da una parte la miseria del nostro essere peccato, dallâaltra lâinfinita misericordia di Dio che ci ha collocati accanto al suo trono a condividere persino il suo essere, mediante quella che con il grande Vescovo e Dottore santâAtanasio, che la Chiesa ricorda oggi, definiscono âdivinizzazioneâ.
La loro liturgia è tutta intessuta di questo stupore. E così, ad esempio, in questo tempo liturgico, la tradizione bizantina ripete senza fine questa esperienza ineffabile, dicendo, cantando e comunicando agli altri: âCristo è risorto dai morti, calpestando con la morte la morte, e ai morti dei sepolcri ha elargito la vitaâ. E lo ripetono costantemente, come per farlo entrare nel cuore proprio e degli altri.
Questo stesso stupore esprime anche la liturgia armena, nel pregare con le parole di quel San Gregorio di Narek che proprio Papa Francesco volle ascrivere tra i Dottori della Chiesa e che la tradizione ha reso parte integrante dellâeucologia eucaristica: âNoi ti imploriamo, Signore, i nostri peccati siano consumati dal fuoco come quelli del profeta furono consumati dal carbone ardente offertogli con le pinze, così che in tutto la tua misericordia sia proclamata come la dolcezza del Padre fu annunciata attraverso il Figlio di Dio, che condusse il figlio prodigo a tornare allâeredità paterna e guidò le prostitute alla beatitudine dei giusti nel regno dei cieli. Sì, anchâio sono uno di loro: ricevi anche me al pari di loro, come bisognoso del tuo grande amore per lâumanità , io che vivo per le tue grazieâ.
Ecco solo due esempi della forza vibrante con cui lâemozione del cuore si mescola in oriente alla lucidità della mente per descrivere la nostra immensa povertà salvata dallâinfinità dellâamore di Dio.